La neurobiologia del Disturbo da gioco d’Azzardo è un fenomeno molto complesso e ancora non sufficientemente compreso ai fini terapeutici. Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento delle Dipendenze della Asl Città di Milano, ne affronta gli aspetti salienti in un articolo pubblicato sul proprio blog.
“I trattamenti del Disturbo da Gioco d’Azzardo sono abbastanza simili a quelli utilizzati per altre forme di dipendenza. Dopo la diagnosi, si muovono attraverso tre fasi: intervento acuto, seguito dalla riabilitazione e conclusione con il mantenimento. Queste tre fasi possono variare a seconda delle tecniche in possesso dei terapeuti e dei contesti in cui si svolge il trattamento. Variano anche in relazione alla diagnosi, in presenza di altre patologie che possono aggravare, essere conseguenti o accompagnare il disturbo. I metodi per trattare il disturbo possono includere approcci psicoanalitici, psicodinamici, comportamentali, cognitivi, farmacologici, e di auto-aiuto.
Normalmente questi metodi vanno combinati a vari livelli, nel percorso di cura, ed è quindi utile che vengano progettati e attuati da equipe multidisciplinari. Spesso il trattamento principale, in assenza di altre patologie, è un intervento psicoterapeutico, sotto forma di terapia cognitivo comportamentale. Per quanto riguarda i farmaci, gli antidepressivi e gli stabilizzatori dell’umore possono aiutare a trattare i problemi che spesso si accompagnano al gioco d’azzardo compulsivo, come il Disturbo bipolare, la depressione o l’ansia. Alcuni antidepressivi possono essere efficaci nel ridurre il comportamento di gioco. Farmaci antagonisti degli oppioidi (naltrexone e nalmefene), utili nel trattamento dell’abuso di sostanze, sono stati suggeriti per ridurre la compulsione per il gioco d’azzardo ma i risultati, riportati in letteratura, sono alquanto contrastanti.
In ogni caso non esiste un farmaco che, di per sé, curi questa patologia, tuttavia ci sono condizioni in cui la prescrizione di farmaci appropriati può essere di grande aiuto, ma questo va deciso caso per caso ed in relazione all’evoluzione del trattamento.
Una difficoltà da affrontare è che le persone affette da una dipendenza sono normalmente ambivalenti rispetto al cambiamento. Da una parte lo desiderano, dall’altra sono agganciate dal piacere e dal senso di ricompensa legato alla dipendenza stessa che, almeno originariamente, ne è stato anche una determinante, così come può determinare una ricaduta nel comportamento additivo. Non per nulla la prevenzione della ricaduta è una parte importante del percorso di cura: esiste la possibilità concreta che si verifichino periodi di astinenza e ricadute, per un certo periodo.
I farmaci dopaminergici utilizzati per terapie neurologiche o psichiatriche possono rendere i pazienti più vulnerabili per il gioco d’azzardo patologico, le spese o gli acquisti compulsivi, gli eccessi alimentari e l’alimentazione compulsiva, ed anche provocare un aumento patologico della libido ed ipersessualità.
Si tratta di farmaci usati per pazienti con Malattia di Parkinson o con la Sindrome delle gambe senza riposo, trattati con pramipexolo o ropinirolo, oppure con problemi psichiatrici, in cura con aripiprazolo. È noto che, soprattutto, la terapia sostitutiva con dopamina applicata nella Malattia di Parkinson può, in alcuni casi, avere come effetto avverso un alterato controllo degli impulsi. Pramipexolo e ropinirolo, sono selettivi per il recettore D3. Il rischio di un aumento del gioco d’azzardo, come effetto dei farmaci dopaminergici, è stato studiato soprattutto in pazienti con malattia di Parkinson ma è stato visto anche in altri pazienti affetti da fibromialgia e negli adenomi ipofisari. L’aripiprazolo, invece, agisce sui recettori della dopamina e della serotonina ed è prescritto principalmente nella schizofrenia e nel Disturbo bipolare. Questo farmaco ha un’elevata affinità per i recettori D 2 e D 3. ma potrebbe avere un effetto sul controllo degli impulsi anche attraverso il sistema di trasmissione serotoninergico.
La neurobiologia del Disturbo da gioco d’Azzardo, infatti è collegato al sistema di ricompensa e rinforzo, basato principalmente sulle proiezioni mesocorticolimbiche della dopamina, con il nucleo accumbens. È un’area importante anche per lo sviluppo di altre dipendenze patologiche e di comportamenti additivi. La neurobiologia dell’apprendimento legato alla ricompensa nel Disturbo da Gioco d’Azzardo è stata compresa solo parzialmente. La dopamina svolge un ruolo chiave nel processo, ma agisce assieme ad altri sistemi di trasmissione, come quelli legati alla serotonina ed al glutammato e questi sistemi sono collegati, e agiscono in correlazione tra loro.
Si ipotizza che, siccome l’apprendimento legato alla ricompensa è mediato dalla dopamina, i farmaci dopaminergici, ed in generale alcune sostanze che agiscono direttamente o indirettamente sul sistema della dopamina, stimolandolo, possano portare ad un aumento della percezione di ricompensa, legata a determinati comportamenti, tra cui il gioco, diminuendo la capacità critica di autocontrollo.
La situazione è allo studio e necessita di essere meglio compresa, anche perché non del tutto chiara soprattutto per quanto riguarda gli effetti di alcune sostanze in situazioni acute e croniche, visto che l’aloperidolo, che è un antagonista dei recettori D2, e quindi deprime il funzionamento della dopamina, inspiegabilmente, sembra aumentare la predisposizione al gioco, ma solo nei pazienti che hanno già un Disturbo da gioco d’Azzardo. Oppure un effetto avverso che potrebbe peggiorare la situazione è stato anche ipotizzato per l’antidepressivo atipico agomelatina, che agisce come agonista della melatonina e della serotonina, ma c’è anche chi, invece, ne ha ipotizzato l’uso, proprio per il trattamento del Disturbo da Gioco d’Azzardo, il che suggerisce davvero la necessità di ulteriori studi, così come per l’antidepressivo venlafaxina, un inibitore non selettivo della ricaptazione delle monoamine.
Non proseguo con questa descrizione perché diventa troppo complicata per essere esposta in modo divulgativo e perché molti argomenti sono ancora oggetto di studio e ricerca.
Ciò che per ora è certo è che, per alcune persone, esiste un rischio di associazione tra l’assunzione di farmaci dopaminergici e minor capacità di controllo degli impulsi, fino ad arrivare a comportamenti additivi ed a dipendenze patologiche. Questo deve essere tenuto in considerazione dai pazienti e dai medici che li hanno in cura, come un possibile effetto collaterale di rilievo. Tenere in considerazione il rischio di un effetto indesiderato, non significa evitare l’uso di questi farmaci che, nella maggior parte dei casi, migliorano e non di poco la vita di chi li assume, ma sapere che può esserci un effetto collaterale e tenerne conto, monitorando la situazione. Nel caso, la terapia in corso va modificata, da chi l’ha prescritta, nei modi e nei tempi necessari (va evitato assolutamente il fai da te!), proprio per evitare che sintomi iniziali, magari lievi, si consolidino nel Disturbo da Gioco d’Azzardo che, come abbiamo visto, è una vera e propria patologia grave, per fortuna curabile.”