La cura della salute in carcere: un’occasione mancata

la scarsità di personale sanitario rende la salute in carcere solo una promessa

Negli ultimi anni sono sempre di più le persone detenute che prima di entrare in carcere non avevano mai avuto contatti con strutture sanitarie o con un percorso di cura vero e proprio, solamente perché svantaggiate economicamente e socialmente.

data di pubblicazione:

27 Ottobre 2023

Il carcere e la medicina penitenziaria sono l’argomento che affronta un articolo sul sito del giornale Il Post. Il carcere dovrebbe essere il luogo dove molte persone potrebbero avere l’occasione di conoscere e veder riconosciuti alcuni loro diritti. Diritti costituzionalmentalmente riconosciuti tra cui l’assistenza sanitaria, ma questo non avviene.
Negli ultimi anni sono sempre di più le persone detenute che prima di entrare in carcere non avevano mai avuto contatti con strutture sanitarie o con un percorso di cura vero e proprio. Questo solamente perché svantaggiate economicamente e socialmente. In questo modo si perde la possibilità di mettere in contatto per la prima volta persone con il Servizio Pubblico.  Servizio che potrebbe svolgere azioni di cura e prevenzione in un’ottica più ampia di tutela della salute pubblica.
Purtroppo la mancanza di risorse economiche, anche frutto della legge che ha trasferito competenze, rapporti di lavoro e risorse economiche e strumentali dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, cioè alle regioni e alle ASL, ha reso tutto questo non praticabile.
Una scelta questa che negli anni ha portato il personale medico a scendere sotto il 50% di presenze necessarie. Anche il numero di infermieri, psicologi e psichiatri è tale che non coprono le ore di lavoro necessarie per affrontare una situazione di disagio diffusa.
I dati relativi alla salute dei detenuti sono preoccupanti: “(…) Il 70 per cento di questi è risultato essere affetto da almeno una patologia. Dati più recenti dicono che tra i detenuti italiani un terzo è affetto da epatite C, mentre circa 5mila hanno un’infezione cronica da HIV. Per quanto riguarda la salute mentale, secondo il rapporto 2023 di Associazione Antigone nelle carceri italiane il 40,3 per cento dei detenuti assume sedativi e ipnotici, il 20 per cento stabilizzanti dell’umore: ma solo il 9,3 per cento della popolazione carceraria ha diagnosi psichiatriche gravi.
Infine c’è il tema della tossicodipendenza: al 31 dicembre 2022 un detenuto su tre aveva una qualche dipendenza da sostanze stupefacenti”.
Una situazione che si è venuta a creare sia dalla mancanza di spazi di vita adeguati per i detenuti, ma anche di spazi di lavoro sicuri per il personale interno.
La cronica carenza degli agenti di custodia costringe i medici a lavorare in situazione di scarsa sicurezza, cosa che li porta a chiedere il trasferimento sempre più spesso perché non possono lavorare come dovrebbero.
«Un carcere di questo tipo è pericoloso per i detenuti e anche per chi ci lavora. Noi ci siamo ritrovati a fare visite mediche anche a due detenuti contemporaneamente senza la sorveglianza degli agenti, il che è vietato. A volte ti ritrovi davanti soggetti aggressivi, che ti minacciano e finisci per svolgere mansioni di sicurezza e di assistenza psicologica. In queste condizioni fare medicina è impossibile, diventiamo spacciatori. Tutto quello che possiamo fare è somministrare psicofarmaci”.

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