LA RIDUZIONE DEL DANNO ALL’INTERNO DEL CARCERE E’ UTOPIA?

la popolazione carceraria in Italia nel 2021, per il 34, 88% era composta da persone che hanno violato la legge sulla droga, una percentuale quasi doppia rispetto a quella della media europea

data di pubblicazione:

26 Maggio 2023

Nella seconda parte del numero dedicato a Migranti, fragili e dipendenze , pubblicato da MDD Medicina Delle Dipendenze – Italian Journal of the Addiction è possibile leggere un contributo relativo al tema del carcere e disturbi da uso di sostanze, che si interroga in particolare modo sulla mancata equivalenza delle cure tra il dentro e il fuori le mura carcerarie. 

Per arrivare a riflettere su questo tema l’autrice dell’articolo, Daniela Ronco – Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino – sottolinea una delle anomalie che caratterizzano la popolazione carceraria in Italia nel 2021, ossia che per il 34, 88% è composta da persone che hanno violato la legge sulla droga, una percentuale quasi doppia rispetto a quella della media europea (Anastasia et all., 2022).
Tra queste persone, quelle che risultano avere una certificazione di tossicodipendenza sono 15.244, in maggioranza uomini (79%) e per circa un terzo di origine straniera.
Questi numeri importanti hanno stimolato alcune riflessioni sia sul rapporto tra effettività ed efficacia delle politiche che riguardano il consumo di sostanze, sia sul carattere classista che queste perseguono punendo tendenzialmente gruppi sociali più vulnerabili  ed emarginati (Baratta 2022).
Con il trasferimento delle competenze sulla medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, e quello del trattamento delle dipendenze ai Ser.D. delle Regioni, si apre “(…) un capitolo particolarmente interessante per misurare il raggiungimento dell’obbiettivo dell’equivalenza delle cure tra dentro e fuori, principio cardine di tutta la riforma della sanità penitenziaria, sia per la portata del fenomeno che per i termini di applicazione normativa”.
Una ricerca dell’Università di Torino, in collaborazione con il CNCA, ha evidenziato però tutta una serie di criticità in alcuni istituti oggetto dell’indagine che riguardano: la disponibilità dei trattamenti negli istituti, la mancanza delle terapie sostitutive, la mancata garanzia del mantenimento del dosaggio precedentemente assunto e la mancanza della terapia a mantenimento del metadone. Ma più in generale quelli che si dimostrano come gli elementi più critici sono la mancanza di continuità di trattamento tra i servizi interni ed esterni al carcere e  i percorsi di uscita dalla dipendenza.
Il primo aspetto riguarda le uscite ed i trasferimenti da un istituto all’altro, mentre il secondo rimanda al rapporto tra  pazienti e operatori sanitari, che spesso è compromesso dall’obbligo di denunciare le violazioni commesse dai pazienti e che incide sul percorso in atto. Ma l’elemento che secondo Ronco evidenzia ulteriormente questa disparità è la mancata applicazione, all’interno del carcere, della riduzione del danno (Rdd), che invece all’esterno è stata inserita nei LEA con il DPCM 12 gennaio 2017  e che il Servizio Sanitario dovrebbe assicurare a tutti i cittadini.
Per capire questa mancanza secondo l’autrice bisogna tenere in considerazione “(…) due grandi  tabù della cultura penitenziaria lato sensu, ossia il consumo di sostanze e la sessualità“.
La Rdd sarebbe un buon esempio per riflettere sul concetto di prevenzione in carcere, che si concentra soprattutto sulla prevenzione di comportamenti a rischio quali lo scambio di sostanze, siringhe, farmaci.
Ma la prevenzione vuole anche dire ghettizzazione attraverso la creazione di sezioni ad hoc:“(…) la logica di fondo è di evitare la contaminazione  che di frequente viene associata, nella percezione del personale che opera negli istituti  e della popolazione detenuta, allo stato di tossicodipendenza”.
Inoltre l’applicazione della Rdd viene “(…) minata altresì dalla tendenza a negare e minimizzare la diffusione dei consumi durante la detenzione“, che vengono sanzionati pesantemente dal punto di vista sociale e penale.
D’altra parte ammettere che ci sia consumo di sostanze in carcere significherebbe ammettere l’inefficacia dei controlli su questo fenomeno, che resta un ostacolo serio all’applicazione di queste strategie, che diventano “(…) una sorta di lusso che non ci si può permettere dentro il carcere, sia per la scarsità di risorse, sia per non violare quel principio, di less eligibility che imperversa nella gestione ordinaria del penitenziario, secondo cui, se non si vuole perdere l’effetto deterrente della pena, le concrete condizioni di detenzione devono restare al di sotto degli standard minimi garantiti all’esterno”.

MDD Medicina Delle Dipendenze, Italian Journal of the Addiction. Numero 49 Marzo 2023. Disponibile presso il Cesda

 

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