La professoressa e ricercatrice presso il Collegio di Lettere Ispaniche della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’UNAM, Ainhoa Vásquez è fra le maggiori esperte mondiali di aspetti socio-culturali connessi al narcotraffico, grazie ai suoi approfondimenti sulle modalità attraverso le quali la narrativa e altre espressioni artistiche affrontano il traffico di droga e le sue conseguenze. Parte rilevante dell’influenza e del prestigio di cui godono le organizzazioni criminali affonda infatti in rituali e immaginari legati alla cultura popolare dei giovani e delle classi subalterne.Ne sono esempio il narcotrap, o le serie tv ispirate ai cartelli della droga. Comparando le proprie conoscenze e ricerche sul campo condotte in Messico e Cile, la studiosa mette in evidenza l‘ambivalenza di questi prodotti culturali che tanto affascinano fasce di giovani e giovanissimi nei due paesi.
“- La prima cosa: esiste la cultura cilena della droga?
Sì. Oggi sì. E ha componenti molto particolari rispetto a quello che possiamo vedere in paesi come il Messico e la Colombia, dove è nata. In Cile sono stati adottati alcuni elementi e riti molto particolari che non si vedono in altre parti del mondo. Ad esempio, funerali con proiettili in aria e fuochi d’artificio. Questo è un rito super cileno, e viene dalla cultura urbana e criminale presente, almeno, dagli anni ’60, quando si registrano i primi funerali di questo tipo.
– Come erano questi funerali prima?
Rodrigo Ganter (sociologo, dottore in studi urbani), che è accademico all’Università del Cile, ha documentato come in quegli anni, a La Legua, per esempio, ci fossero i “funerali dei ragazzi”. Che erano funerali che si tenevano quando cadeva un membro di una banda criminale, e che consisteva nel far camminare la bara anche attraverso il carcere prima di raggiungere il cimitero. Questo è qualcosa di molto tipico del Cile, che è stato mescolato con i funerali di droga dell’estero. In Messico, ad esempio, danno l’ultimo drink al morto lanciando tequila contro la bara, e qui in Cile è ormai la norma tirargli addosso del pisco. Infatti in Colombia e Porto Rico è normale che il defunto venga portato in un bar, per condividere con lui l’ultima volta.
(…) – Quali altre differenze hanno queste espressioni con quello che ha dovuto indagare in Messico?
Feste. In Cile, i festeggiamenti incorporano la comunità. Per i battesimi, i compleanni, si invitano i vicini, c’è l’alcool, il cibo, e portano la festa in strada. Generalmente, in Messico, i trafficanti di droga vivono in case molto lussuose, lontano dalla comunità, e ovviamente invitano le persone a casa loro, ma è così che funziona. Qui la casa si affaccia sulla strada, che è qualcosa di molto cileno. Ciò rafforza anche i legami con la gente del quartiere. Comprano la lealtà delle persone, perché le stesse persone li proteggono. Il narco cileno ha bisogno di quei legami. È senso di appartenenza, ma anche di sicurezza.
– Questo ha anche a che fare con il fatto che il trafficante cileno si sente più sicuro nel suo ambiente, protetto dalla polizia, a differenza di quanto accade in altri paesi?
Certo, in Messico e in Colombia la polizia è stata una parte fondamentale dei cartelli. Ecco perché parliamo dello Stato della droga in posti come il Messico, perché molte delle istituzioni non solo sono corrotte, ma fanno anche parte del narcotraffico. Qui è molto diverso. Possiamo avere elementi di corruzione nella polizia, non dico che non esista, è stato dimostrato che c’è, ma la polizia svolge un altro ruolo. Ad esempio, qui si afferma sempre il motivo per cui la polizia non viene coinvolta nei funerali della droga. Ed è perché qui il ruolo della polizia è anche quello di proteggere la popolazione. Quindi, non affronteranno i trafficanti di droga armati in quel contesto. Questo è qualcosa che è stato fatto molto bene qui, perché sarebbe davvero un grande rischio. Il problema in Messico era che la polizia e l’esercito affrontavano direttamente i narcotrafficanti, generando una guerra in cui sono morti molti civili.
– ll suo principale campo di ricerca è stato il modo in cui la narrativa e altre espressioni artistiche affrontano il traffico di droga e le sue conseguenze, come i narcocorridos. Ha potuto apprezzare come la musica cilena, più simile alla trap o alla cosiddetta “musica urbana”, incorpori elementi di questo tipo nei suoi testi?
Sì. Tuttavia, penso che il narcotrap sia molto diverso dal narcocorrido. In Messico quasi tutti i narcocorridisti svolgono una funzione per il cartello. Quasi tutti sono pagati dal cartello e loro stessi non hanno problemi a dirlo. Fanno parte del libro paga e la loro funzione è quella di raccontare le gesta dei narcotrafficanti. Qui non è così. Potremmo avere alcuni ragazzi che sono stati coinvolti nella droga o che sono micro-trafficanti, ma, a differenza del narcocorrido, in Cile la trap è super politica. Sta mostrando una gioventù che non ha opportunità, emarginata, abbandonata dallo Stato, senza futuro, dove sente che l’unica alternativa è lasciarsi coinvolgere nella criminalità. La trap cilena lo sta dimostrando molto bene.
– Anche quando ci sono artisti che nei loro video sfoggiano armi, bambini con armi, droga? Come si può interpretare il fenomeno in un altro modo senza che sia un’apologia della criminalità?
Succede principalmente perché ciò che attrae le persone è proprio questo: armi, lusso, tutto ciò che non avrai mai. Questo è ciò che abbaglia, da un lato, e che suscita anche critiche, dall’altro, ma è un primo strato del fenomeno. Se si va oltre, alla base c’è inevitabilmente la mancanza di opportunità. È il messaggio subliminale, la critica velata, e questo mi interessa. Se guardi bene, dicono così: mi piacciono le armi, la droga, ma perché da ragazzo non ho avuto possibilità, e nemmeno da giovane, perché mi mancava l’istruzione, perché vivo in un quartiere marginale. È un’immagine di ciò che vivono.”