RITIRO SOCIALE E PANDEMIA: QUALI LE CONSEGUENZE?

intervista a Matteo Lancini

Il fenomeno, nato in Giappone, presenta molte sfumature rispetto ai comportamenti che lo definiscono, che possono contenere differenze significative tra di loro, Anche le  cause che sottendono al fenomeno possono essere molteplici e possono cambiare da persona a persona. Ci sono però alcuni elemento trasversali - secondo l'autore - che possono essere rintracciati nell'individualismo, nel disagio sulla gestione del conflitto e sull'esclusione del corpo.

data di pubblicazione:

11 Ottobre 2022

Sul sito dell’Istituto Minotauro è pubblicata un’intervista interessante sul tema del ritiro sociale e della pandemia a Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, autore insieme a Loredana Cirillo di Figli di Internet”(Erickson, 2022). Il fenomeno non é nuovo, anche se in questi ultimi due anni di pandemia da Covid-19 si sta allargando sempre di più alla fascia dei preadolescenti, costringendo gli adulti ad indagare ulteriormente le cause che sono alla sua origine.

Come sottolineato da Lancini questo fenomeno, non nuovo, “rientra in generale in tutte quelle forme di attacco e annullamento del corpo che sembra stia diventando la principale manifestazione del disagio giovanile, che non trova altre forme per essere comunicato”. Si pensi ad esempio ai Disturbi della condotta alimentare, al fenomeno dell’autolesionismo fino ad arrivare ai pensieri suicidi che in qualche modo rientrano nello stesso schema del ritiro sociale, ossia sottrarre alla vista degli altri il proprio corpo.
Il fenomeno, nato in Giappone, presenta molte sfumature rispetto ai comportamenti che lo definiscono, che possono contenere differenze significative tra di loro, Anche le  cause che sottendono al fenomeno possono essere molteplici e possono cambiare da persona a persona. Ci sono però alcuni elemento trasversali – secondo l’autore – che possono essere rintracciati nell’individualismo, nel disagio sulla gestione del conflitto e sull’esclusione del corpo.
Il primo elemento nasce dall’essere immersi in una società sempre più competitiva e individualista, che rende il fallimento personale impossibile da tollerare; il secondo deriva dal fatto che ci troviamo in “(…)  un mondo pieno di conflitti, ma in qualche modo tutti latenti e esclusi dai discorsi sociali e interpersonali, gli adolescenti non sanno come comportarsi di fronte al conflitto e alla propria rabbia“. L’ultimo elemento ha le sue origini in un modello urbanistico ed educativo – pensato dagli adulti – che non offre la possibilità ai corpi di esprimersi in modo non strutturato.
Rispetto invece alla pandemia e quanto questa ha influito sul fenomeno, Lancini afferma che bisogna fare “attenzione ad attribuire al Covid-19 delle colpe che non ha solo per deresponsabilizzare noi adulti come figure di riferimento: la pandemia ha solo esacerbato delle modalità di disagio già preesistenti”.
Quello su cui invece la pandemia ha influito è stato l’aumento dei casi che hanno riguardato i preadolescenti e il fatto che molti di loro siano riusciti a chiedere aiuto, senza nascondere il loro malessere, anche complice un maggior riconoscimento sociale delle fragilità.
L’altro fattore che ha contribuito ad ampliare il fenomeno è stato sicuramente la chiusura delle scuole e aver “rinchiuso” i giovani dentro casa, davanti ad un computer, situazione che paradossalmente metteva in mostra aspetti domestici e intimi  a tutto il gruppo classe e che molti giovani  non hanno vissuto positivamente. Lancini fa poi una riflessione sull’utilizzo delle tecnologie da parte dei ragazzi/e ritirati socialmente: questi strumenti non possono essere visti come il problema principale, anche se spesso esiste un utilizzo eccessivo, più spesso la rete e i dispositivi digitali permettono ai giovani di sperimentare con modalità a distanza ciò che non riescono più a fare di persona, per esempio intrattenere relazioni interpersonali.
Come affrontare praticamente questo fenomeno?  Secondo Lancini prima di tutto come genitori non bisogna andare caccia di “cattivi segnali”, ma piuttosto essere disposti ad ascoltare ed essere curiosi rispetto alla vita dei figli, ossia capire cosa gli interessa e farselo raccontare. Inoltre è importante che i genitori riescano ad accettare che i figli possano avere dei periodi tristi o di sofferenza, senza sminuirli o negarli, ma al contrario cercare di “stare dentro” a queste difficoltà.

 

 

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