HIKIKOMORI E SCUOLA

data di pubblicazione:

8 Marzo 2019

Lo scorso novembre, la Regione Lazio, ha organizzato un convegno dal titolo “Hikikomori Uscire per riuscire: il ruolo della scuola nei casi di ritiro sociale”. Un momento importante in quanto, per la prima volta nel Lazio, una istituzione importante come la Regione si è interessata al fenomeno hikikomori.

Nell’ambito del convegno una panoramica ha illustrato in modo completo la problematica, con linguaggio estremamente chiaro e, rispetto al quale, vanno sottolineati alcuni punti importanti

Si parla di ritiro sociale volontario ma è comprensibile come questa scelta possa coprire un disagio sottostante;

rifacendosi alle definizione che vengono principalmente dagli studi del Dott. Sato, se è vero che si tratta un fenomeno sociale per cui non è un sintomo di un disagio psichiatrico e non c’è in atto una patologia che spieghi la scelta del ritiro, è altrettanto vero che alla fine l’isolamento può condurre alla patologia;

si distingue tra Hikikomori Primario e Secondario, laddove appunto la spinta all’isolamento non sia determinata soltanto dalle forti pressioni sociali che il ragazzo avverte quanto piuttosto dalla presenza di una patologia pregressa (per esempio la depressione);

Nel fare “l’identikit” del ragazzo hikikomori, un elemento che viene fortemente sottolineato è la visione totalmente negativa della società: essa pressa fortemente e richiede di lavorare, di essere produttivi, “vincenti” ma… poi non offre niente, poche possibilità di realizzazione, spesso nemmeno offre il lavoro;

Questa visione negativa coinvolge anche la scuola (la scelta del ritiro avviene spesso nel periodo della scuola superiore): essa viene vissuta come poco empatica, luogo dove le relazioni sono fredde, dove i professori puntano maggiormente alla formazione dal punto di vista dei contenuti ma poco si occupano della formazione della persona, poco si interessano di come far star bene i propri studenti;

Rispetto alle cause che possano essere identificate come precedenti alla scelta dell’isolamento: oltre a quelle caratteriali (solitamente molto sensibili e introversi), sociali (come già detto, visione molto negativa della società), scolastiche (anche se bravi a scuola, vivono con paura il confronto con gli altri e spesso possono essere presenti episodi di bullismo) sicuramente vanno sottolineate le cause familiari, infatti con le madri può esserci un eccessivo attaccamento e eccessiva presenza di ansia, i padri invece spesso sono presenti da un punto di vista operativo e materiale ma altrettanto assenti e freddi da un punto di vista emotivo;

Il ruolo di internet: molti profani o anche esperti (ma non nel campo specifico), confondendo spesso il fenomeno hikikomori con la dipendenza da internet, consigliano rimedi estremi: togliere connessioni, computer, telefonini! Quello che non viene colto è che internet, per questi ragazzi, diventa l’unica risorsa relazionale. Perché? Perché internet permette l’anonimato e di filtrare le proprie emozioni: nessuno mi vede se ho paura, mi vergogno, arrossisco e così posso parlare liberamente ed essere me stesso senza correre il terribile rischio di deludere qualcuno, di essere giudicato, di non piacere, di essere rifiutato…

Le conseguenze psicopatologiche: il ritiro sociale può portare a patologia. Quali? Disturbi di ansia, del sonno, disturbo ossessivo compulsivo, depressione, disturbi psicosomatici, disturbi alimentari e anche dipendenza da internet; da un punto di vista delle conseguenze scolastiche/lavorative sono presenti vissuti di inadeguatezza, paura del confronto con gli altri, abbassamento dell’autostima;

Importanti le conseguenze familiari: dal punto di vista dei genitori si può parlare di genitori in impasse, in scacco di fronte al fenomeno, dove i vissuti di impotenza e i sensi di colpa si scontrano spesso con la rabbia manifestata più o meno violentemente dai figli.

Il ruolo della scuola: cosa può fare? Per prima cosa informarsi ed informare correttamente tramite seminari e corsi di formazione.
Inoltre: creare un ambiente che non sia eccessivamente pressante e competitivo ma che tuteli tutti gli studenti, anche quelli che (come i ragazzi hikikomori) si sentano sfiduciati, demotivati, non compresi e non tutelati; creare servizi di supporto (psicologo scolastico, sportelli di ascolto), laddove necessario creare percorsi di formazione alternativi.
Riprendendo le parole del Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, la scuola “non deve standardizzare, ma valorizzare i singoli talenti”.

Nel corso del convegno sono state evidenziate le criticità della scuola e ribadito come i docenti siano in grado di riconoscere il problema e di mettere in atto strategie didattiche flessibili ma come manchino invece le indicazioni da parte della normativa vigente: i ragazzi hikikomori cosa sono?

Possono essere riconosciuti come appartenenti al gruppo degli alunni con Bisogni Educativi Speciali?
La scuola pertanto ha bisogno pertanto di riempire questi “buchi normativi” e di formare adeguatamente i docenti affinché possano realizzare progetti didattici flessibili e quindi, di conseguenza, la scuola ha bisogno di fondi sia per la formazione che per la messa in atto di buone prassi.

Al convegno è intervenuta Elena Carolei, presidente dell’Associazione Hikikomori Italia Genitori Onlus; nel corso del suo intervento ha fatto un breve excursus di come questa associazione sia nata per dare risposta alla situazione nella quale si sono trovati i genitori di ragazzi hikikomori, cioè un grande senso di incomprensione da parte di tutti coloro che avevano soluzioni “pronte per l’uso”, pur non vivendo il problema: familiari, parenti, amici, la scuola e le istituzioni stesse.
Da qui il paradosso: mio figlio sta male ma nessuno riconosce questa sofferenza.

I numeri da cui è nata l’Associazione genitori sono significativi: nel gruppo creato su Facebook ci sono quasi 1200 iscritti. È una associazione di giovane costituzione ma che vuole fare cose importanti: l’Ing. Carolei ha presentato il protocollo di intesa stilato con la Regione Piemonte e l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte (visionabile a questo link http://www.hikikomoriitalia.it/p/blog-page_11.html) per la promozione della cultura e la definizione di strategie d’intervento rispetto al fenomeno.

Ha inoltre dato notizia di un incontro avvenuto il giorno precedente, insieme al dott. Dell’Acqua e il Miur, per l’avvio di un percorso che porti alla creazione di tavoli di lavoro così da estendere il discorso iniziato in Piemonte a tutto il resto d’Italia ed ampliare quanto nel protocollo ancora non c’è: le indicazioni ai settori della formazione professionale, sociosanitaria e dei servizi al lavoro.
A conclusione del convegno, due testimonianze significative

Un genitore dell’Associazione ha presentato un intervento intitolato “Le voci invisibili”: le frasi dei ragazzi Hikikomori raccolte sul web dal Dott. Marco Crepaldi e i disegni di Losing You, il ragazzo isolato che con le sue immagini sul sito di Hikikomori Italia fa arrivare al cuore il grido della loro solitudine; un ragazzo che, dopo anni di isolamento, sta meglio e ha accettato il ruolo di “portavoce” dell’Associazione. Egli, oggi 21enne, racconta la sua storia di quasi 5 anni di ritiro causato, più che dalla pressione sociale, dalla “mancanza di senso e di scopo”. Grazie all’incontro in rete con l’Associazione Hikikomori Italia, dove leggendo i vari articoli si è sentito visto e riconosciuto nel suo malessere, ha cominciato un percorso di “guarigione”.

HIKIKOMORI e BES

La normativa attuale non specifica direttamente che un alunno che si ritiri socialmente possa essere considerato come BES, ma nella prima pagina della Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 si trova scritto: “… è rilevante l’apporto del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale… il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni. In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”.

E ancora, la Circolare Ministeriale del 6/3/2013: “… è compito doveroso dei Consigli di classe o dei teams dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica … nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.

Strumento privilegiato è il percorso individualizzato e personalizzato, redatto in un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare… le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti. … il Piano Didattico Personalizzato non può più essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi … la presa in carico dei BES deve essere al centro dell’attenzione e dello sforzo congiunto della scuola e della famiglia…”.

Seppur da nessuna parte ci sia scritto che “Hikikomori è Bes”, il Consiglio di Classe abbia comunque in mano il potere di riconoscere il Bisogno Educativo Speciale dello studente e possegga già uno strumento da utilizzare con la massima flessibilità, Il PDP, costruendolo proprio sulle specifiche esigenze del singolo alunno.

È senza dubbio vero che i docenti hanno bisogno di formazione su come “utilizzare” la normativa finora esistente e sulle azioni concrete (linee guida) per poter per fronteggiare questo fenomeno. È importante dunque che la scuola si riconosca questo potere e lo usi per dare risposte concrete ed efficaci al problema.

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