Un articolo sulla rivista Internazionale racconta la storia della cocaina e della sua evoluzione da farmaco a droga. Una evoluzione che ha avuto bisogno di tempo e di una scoperta. Una scoperta realizzata nel 1884 da Karl Koller, all’epoca tirocinante nel dipartimento di chirurgia oculistica dell’ospedale generale di Vienna.
Come racconta l’articolo “(…) Nonostante la cocaina fosse stata isolata chimicamente da alcuni decenni, all’inizio era stata considerata per lo più come una curiosità scientifica, un alcaloide “oscuro” e “inutile”, come lo aveva definito un giornalista medico. L’ascesa improvvisa della sostanza da una relativa oscurità alla fama mondiale fu dovuta a un’unica, importante innovazione: la scoperta del primo anestetico locale della storia”. Un anestetico che Koller propose di utilizzare nella chirurgia oculistica e che avrebbe sostituito gli altri anestetici generali allora a disposizione, come il cloroformio e l’etere, che avevano molti effetti collaterali.
La scoperta fu sensazionale e rivoluzionaria in ambito medico e in quegli anni sulle riviste scientifiche non si sarebbe scritto d’altro. Questa scoperta ebbe conseguenze importanti non solo a livello scientifico, ma anche a livello economico.
“All’ascesa fulminea della cocaina seguì un aumento del prezzo. Quando i praticanti più intraprendenti cominciarono a sgomitare per procurarsi campioni dell’alcaloide, la domanda superò l’offerta finché, alla fine del 1884, la cocaina raggiunse un valore di 32 sterline all’oncia (circa quattromila euro di oggi). Nelle grandi città degli Stati Uniti alcuni fornitori arrivavano a chiedere fino a trecento dollari l’oncia. A un certo punto la polvere bianca valeva più dell’oro. Quando l’offerta si rimise al passo con la domanda e il costo si stabilizzò, la cocaina cominciò a essere utilizzata per ogni genere di scopo, dal più esotico al più quotidiano. Al di fuori della sala operatoria, il suo impiego più comune era come rimedio per il raffreddore e l’influenza”, ma non c’era disturbo o malattia a cui la cocaina e i suoi preparati non potessero rimediare.
Un’altra conseguenza fu l‘utilizzo della cocaina per i tatuaggi. Il suo utilizzo rese molto meno doloroso la loro realizzazione, tanto che all’epoca nel Regno Unito divenne una moda tra l’alta società. Secondo i racconti di uno dei più famosi tatuatori dell’epoca, Sutherland MacDonald di Jermyn street a Londra, una iniezione prima e durante l’esecuzione rendeva il tutto molto accettabile.
Inoltre “Chi desiderava imparare l’arte in proprio poteva acquistare un kit casalingo per i tatuaggi, con un “set completo di strumenti per tatuare, aghi montati su impugnature d’avorio, inchiostri non velenosi di vari colori e una bottiglietta di cocaina per rendere l’operazione indolore”, il tutto ordinatamente stipato in una bella “valigetta in pelle di Russia. A distanza di pochi anni dalla scoperta di Koller, la cocaina si era ormai consolidata nel suo ruolo di droga tecnologica e di moda. La sostanza era pervasa da un’aura di novità e trasformazione. I giornalisti andavano in estasi perché la droga, come una moderna Atena, sembrava essere “venuta alla luce con tutte le armi”: era allo stesso tempo uno strumento vitale nell’“armamentario del chirurgo scientifico moderno” e “il bene prezioso di milioni di persone”.
A renderla ancora più popolare furono i romanzi dello scrittore Arthur Conan Doyle, in particolare attraverso la figura dell’ispettore Sherlock Holmes. Figura letteraria che doveva la sua bravura anche all’utilizzo della sostanza e affascinava molto i suoi lettori. Una fascinazione che però sfociò in alcuni casi di abuso che attrassero l’attenzione del pubblico sui lati negativi della cocaina. Cosa che indusse Doyle a “(…) sbarazzarsi per sempre della dipendenza dalla cocaina del suo personaggio. L’avventura del giocatore scomparso (1904) si apre con l’assistente Watson che ricorda come negli anni sia riuscito a far abbandonare al suo amico “quelle droghe che un tempo avevano quasi rovinato la sua brillante carriera”.
“La ricontestualizzazione della dipendenza di Holmes illustra come stava cambiando nei primi anni del nuovo secolo la percezione della cocaina. All’inizio, quando Conan Doyle aveva ideato il suo personaggio, la cocaina era considerata una “panacea moderna” – una prova tangibile che la scienza poteva migliorare la condizione umana – e l’uso della sostanza connotava Holmes come un individuo moderno e tecnologicamente all’avanguardia. Nei primi anni del novecento queste associazioni cominciavano a vacillare, perché la cocaina era ormai sempre più legata alla minaccia della dipendenza e della degradazione”.
A questa minaccia e degradazione decise di rispondere il Governo inglese limitando, attraverso una legge del 1916, il suo utilizzo a medici, chirurghi e dentisti. Nel 1920 queste limitazioni verranno convertite in una legge definitiva, che più che rispondere ad un pericolo di dipendenza “(…) erano anche il riflesso più generale dei pregiudizi sociali e razzisti dell’epoca. L’uso della cocaina aveva cominciato a diffondersi al di là del circolo relativamente chiuso delle classi benestanti dell’alta o media borghesia bianca. Ma se era giudicato accettabile (o al limite ridicolo) che la sperimentasse e ci si divertisse un uomo bianco, ricco e socialmente inserito come William A. Hammond, le stesse esperienze erano considerate molto più minacciose quando a viverle erano i poveri, le donne o le persone nere”.
Già prima della sua penalizzazione erano quindi già presenti pregiudizi rispetto alle persone che usavano cocaina. Alcune la potevano usare, quelle appartenenti alla classe benestante, mentre altre, quelle delle minoranze nere, una volta usata diventavano “assolutamente irrecuperabili.”
“La storia della cocaina tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento è la storia del suo lento passaggio da meraviglia tecnologica a pericolosa sostanza stupefacente. Ma è anche la storia di come alcune sostanze possono caricarsi di significati ideologici, di come questi significati possono cambiare man mano che si diffondono nella società e di come le nostre percezioni di certe droghe sono strettamente legate a ciò che pensiamo delle persone che le usano”.
Internazionale n° 1587