DIPENDENZE, SERVIZI E CRONICITA’

"È come se, attorno a chi usa droghe, si fosse costruito un contenitore da cui è molto difficile uscire"

i percorsi di cura non ambulatoriale sono difficili da ottenere per chi usa sostanze, mentre si diffonde l'uso cronico di farmaci a scopo terapeutico

data di pubblicazione:

16 Gennaio 2025

Le connessioni fra dipendenze da sostanze, servizi di cura e cronicità sembrano suggerire l’idea di un contenitore attorno a chi usa le sostanze. Questa sembra la tesi di fondo dell’articolo di Roberto Gatti, medico e psicoterapeuta del Dipartimento Dipendenze di Milano.

“Mentre la cocaina ha, ormai, saturato il mercato e arriva di continuo a tonnellate, il crack sta progressivamente dilagando nelle città e pone sempre più problemi. Non si tratta solo di salute fisica e mentale ma anche di atti folli ed impulsivi altrimenti poco spiegabili.

Molti farmaci che hanno la capacità di alterare la mente, come GHB, Clonazepam, Pregabalin, Ketamina e analoghi, escono dai circuiti della cura e sono ormai, ampiamente e costantemente, disponibili nel mercato dello spaccio.

(…) Gradualmente il consumo di droghe diventa, così, un problema, solo quando lo spaccio si svolge in modo disordinato o disturbante e, quindi, deve essere spostato altrove, oppure se si vogliono ridurre gli incidenti stradali.

Ma questo ha una conseguenza.

Sino a quando l’uso di sostanze rimane integrato e “invisibile”, nessun problema, ma quando diventa una dipendenza e genera conseguenze, di qualunque tipo, per cui una persona vuole interromperlo, in modo definitivo, la situazione cambia.

Lo Stato e le Regioni finanziano una miriade di azioni finalizzate a indirizzare alla cura ambulatoriale persone che hanno dipendenze comportamentali, reali o presunte, che vanno ad unirsi a chi è “costretto” a rivolgersi, ai medesimi ambulatori, in seguito a segnalazioni per il possesso di droga o a percorsi di area penale.

Tutto ciò contribuisce a saturare l’offerta di cura ambulatoriale di Servizi Pubblici, nati per la cura delle dipendenze da sostanze, ma che, caricati di sempre maggiori incombenze, ma non delle risorse, del personale e dell’organizzazione, utili per affrontarle appropriatamente, rischiano di diventare semplici contenitori di cronicità o parte di sistemi controllo sociale.

Inoltre, in molte parti del Paese, quasi non è prevista la possibilità, all’interno di un percorso strutturato, di effettuare ricoveri ospedalieri specializzati, per chi volesse affrontare interventi di disassuefazione e di approfondimento diagnostico, in un contesti più protetti e sicuri di quello ambulatoriale. Tutto rimane così obbligatoriamente confinato a ciò che il singolo ambulatorio della zona di residenza può fornire, salvo un eventuale invio in comunità che, però, ha caratteristiche specifiche e non è indicato per tutti.

Il concetto di indurre una reale guarigione da una dipendenza patologica da sostanze, diventa, perciò, sempre più astratto ed anche i farmaci a disposizione di chi cura sembrano studiati, soprattutto, per un indefinito uso cronico.

È come se, attorno a chi usa droghe, si fosse costruito un contenitore da cui è molto difficile uscire, legittimato da un concetto spesso enunciato da quegli esperti di settore che definiscono, la dipendenza patologica, come una malattia cronica e recidivante, senza considerare che molte malattie sono tali, sino a quando non si trova il modo appropriato di curarle.

D’altra parte, da sempre, non esistono organismi che si preoccupano di rilevare e rendicontare l’esito degli interventi di SERD e Comunità e, anche questo, a pensarci bene, non è un buon segnale.”

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