dipendenze e comunità terapeutiche

necessario riprendere il lavoro di revisione sulla legge 309/90

Una proposta di revisione non potrebbe non fondarsi su alcuni principi inderogabili quali la centralità della persona in un processo di presa in carico globale, l’integrazione dei servizi, la libera scelta, la garanzia delle risorse da destinare alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione. Il ripristino di un fondo ad hoc sarebbe auspicabile, altresì, per favorire reali opportunità di inserimento socio-lavorativo.

data di pubblicazione:

16 Ottobre 2024

Sul sito Vita.it è possibile leggere un articolo/appello da parte di un operatore di una comunità terapeutica sulla situazione in cui si trova il settore dell’assistenza e cura alle persone con problemi di dipendenza. Un settore che, oltre ad essere connotato da profonde disuguaglianze territoriali, rischia di non poter garantire un livello minino di cura.

Questo a causa, secondo l’articolo, del fatto che la politica si è dimenticata di avere un patrimonio di comunità e di centri terapeutici, che ha fatto scuola in tutta Europa e nel mondo. Una dimenticanza che è frutto di dibattiti ancora legati alla distinzione tra droghe pesanti e leggere e che non si interroga sulla necessità di riprendere il lavoro di revisione della legge 309/90.

Una proposta di revisione che “(…) non potrebbe non fondarsi su alcuni principi inderogabili quali la centralità della persona in un processo di presa in carico globale, l’integrazione dei servizi, la libera scelta, la garanzia delle risorse da destinare alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione. Il ripristino di un fondo ad hoc sarebbe auspicabile, altresì, per favorire reali opportunità di inserimento socio-lavorativo. Una rivisitazione della legge quadro è necessitata dal fatto di dover considerare le dipendenze nel suo continuo dinamismo, sempre in debito con nuove sfide che riguardano le modalità di consumo, molto diverse dagli anni ottanta e novanta, e di comportamento.”

Purtroppo in questo momento storico, secondo l’articolo, si va nella direzione dell’inasprimento delle pene previste nella Legge 309/90, come nel caso della “(…) modifica del comma 5 dell’art. 73 che riguarda i fatti di “lieve entità” riferiti al piccolo spaccio al minuto. Diventerebbe pressoché obbligato il percorso del carcere, già sperimentato in modo capestro e sciagurato con la legge Fini-Giovanardi, impedendo così l’affidamento in prova presso i servizi sociali. A seguire, in modo del tutto discrezionale, il passaggio agli arresti domiciliari e in comunità terapeutica.”

L’altro aspetto su cui riflettere attentamente è l’obbligatorietà della comunità terapeutica come alternativa alla detenzione carceraria. Una modifica che potrebbe portare le comunità a diventare delle “(…) istituzioni totali, chiuse, strutture manicomiali, a scapito dell’individualizzazione del trattamento, necessaria per addivenire alla definizione di un percorso di cura.”

Per affrontare un problema delle dipendenze, e delle morti correlate all’uso di sostanze serve un approccio non ideologico e non moralista conclude l’articolo, magari sostenendo maggiormente il lavoro di Riduzione del Danno (RdD) che una risoluzione della Commission on Narcotic Drugs delle Nazioni Unite di Vienna, include fra le azioni utili per la gestione delle crisi di overdose e per prevenire le morti droga-correlate.

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