Sul sito del magazine Lampoon un articolo descrive i meccanismi che stanno alla base della dipendenza da gaming. Una dipendenza che riguarda soprattutto i più giovani. In Italia, secondo l’ultimo report pubblicato dall’associazione IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association) i gamer (giocatori abituali di videogiochi) sono 14,2 milioni. Il 42,2 % di questi è rappresentato dal genere femminile, in aumento negli ultimi anni, con le bambine e ragazze comprese tra i 6 e 15 anni che sono il 29,5%.
Ma il mondo del gaming non significa solo disturbi e dipendenze, che sono un rischio concreto, ma anche condivisione, socializzazione e cooperazione, come sostiene la streamer e content creator Kafkanya, che da anni sensibilizza sui suoi canali social i rischi della Rete. Anche secondo due ricerche della Columbia University e della Brigham Young University “(…) il gioco può essere un alleato di bambini e adulti nello sviluppo delle abilità cognitive e sociali e nel supporto al team building.”
“L’altra faccia del mondo dei videogiochi è quello rappresentato dal rischio di dipendenza. Secondo uno studio del Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, realizzato assieme al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono quasi 500 mila (480.000) gli studenti che soffrono di Internet Gaming Disorder. Si tratta del 12% degli studenti totali, la maggior parte dei quali maschi, soprattutto durante la frequenza delle scuole secondarie di primo grado. ”
L’OMS ha riconosciuto ufficialmente il Gaming Disorder, ed ha indicato i tre criteri necessari per parlare di dipendenza da videogame: impatto negativo sulla propria sfera personale, sociale e familiare; bisogno continuo di giocare impossibile da controllare; disinteresse verso ogni altro aspetto della vita.
Secondo Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta i videogiochi sono uno spazio utile ad esplorare altri mondi. “(…) I videogiochi rappresentano una comodissima zona di comfort per i ragazzi in età pre-adolescenziale (11-13 anni). Questo perché l’adolescenza fa paura. In questa fase i ragazzi si sentono soli, c’è il problema del rapporto con la propria immagine e con gli altri, quello del sesso e del bullismo. Così finiscono spesso per rifugiarsi in una realtà alternativa, come quella dei videogame.”
All’interno di questa alternativa ci si immerge però in un meccanismo particolare “(…) che incita la persona a ripetere quell’azione o attività, anche in modo compulsivo. Nel caso del gioco d’azzardo, a innescare il processo è la possibilità di vincere del denaro, in quello degli smartphone sono i like e le visualizzazioni, per quanto riguarda i videogiochi, è il sistema delle rewards (ricompense, in italiano) che è possibile ottenere giocando. ”
Se nella vita reale per avere ricompense è complicato e lento, nel mondo virtuale il rapporto causa effetto è immediato.
Questo sistema delle ricompense è alimentato dalla dopamina, un neurotrasmettitore che trasmette al cervello una sensazione di appagamento in seguito al raggiungimento o al completamento di un obiettivo.
Il problema è amplificato per come sono creati i videogame di ultima generazione. Alcuni impediscono ai giocatori di completare al 100% l’esperienza di gioco attraverso il rilascio continuo di aggiornamento o espansioni, oppure attraverso il sistema degli achievement. Questi sono degli obiettivi secondari particolarmente difficili da raggiungere e che possono rappresentare fonte di rabbia, frustrazione e ansia se non vengono perseguiti con successo. In questi casi si può parlare anche di disturbi ossessivi.
Ma i giochi più a rischio, secondo alcuni studi, sono i giochi di ruolo online. In questi ci sono più possibilità: stringere facilmente legami con altri utenti, aumentare il proprio status e potere all’interno della comunità di giocatori, creare avatar estraniandosi dalla realtà in modo molto più netto. Tra i più noti giochi di ruolo online rientrano World of Warcraft, Crowfall e Dungeons & Dragons-Neverwinter.
Secondo uno studio internazionale del 2022, al quale hanno contribuito l’Università di Padova e il Cnr di Pisa, nel nostro Paese il 24% dei ragazzi sarebbero a rischio.
Il problema è che in alcuni casi, “(…) con il tempo, la passione per i videogiochi e i meccanismi che sono alla base di questi sistemi hanno valicato i confini del mondo ludico per espandersi e attecchire prima sui social network e poi anche nella vita reale”.
Questo processo è noto con il termine “gamification” (ludicizzazione, in italiano), che consiste nell’utilizzo di elementi tipici dei videogame (premi, ricompense, punti, livelli, classifiche) in ambiti esterni a quelli del gioco.” Le piattaforme streaming e il gioco d’azzardo online sono ambiti molto simili dove i gamer possono ritrovare meccanismi simili e quindi rappresentano un rischio ulteriore per chi come i più giovani è in una fase di transizione psicologica e fisica ed è in cerca di attestazioni di riconoscimento.