il declino delle sale bingo

gli introiti del gioco sono una quota marginale sul totale del gioco d'azzardo

data di pubblicazione:

17 Novembre 2023

Correva l’anno 2001 quando furono aperte le prime sale BINGO. Una novità che in poco tempo connotò molte città, piccole e grandi con le loro insegne luminose al neon. Delle 300 che aprirono in quegli anni ne sono rimaste solo 186, segno di un declino che questo gioco ha subito nel tempo. “Il bingo rappresenta una quota marginale del remunerativo settore fisico del gioco d’azzardo in Italia (136 miliardi di euro giocati nel 2022) e come altri giochi negli ultimi anni sta subendo la concorrenza dell’online.
Ma ci sono ancora delle caratteristiche che lo fanno apprezzare da una clientela ancora fedele. Ampi spazi dove giocare, personale a sufficienza, premi tutto sommato limitati e aperture sette giorni su sette hanno reso le sale ancora abbastanza frequentate. Una frequentazione composta prevalentemente da persone di età media tra i 50 e 55 anni, in maggioranza donne e in parte composta da stranieri di prima e seconda generazione.
“Ma nonostante girino meno soldi e la struttura del gioco, analoga a quella della più comune tombola, possa sembrare rassicurante e tutto sommato innocua, una parte degli avventori delle sale bingo sono dipendenti patologici dal gioco d’azzardo.  Sembra la classica tombola, si può iniziare giocando cifre molto piccole, ma può portare anche a impegnare molto tempo e molti soldi”.
Per attirare persone in alcune sale non c’è solo il bingo, dentro a questi spazi si possono trovare sale con le videolottery, si può cenare a prezzi ridotti, vedere partite di calcio e divertirsi con il karaoke. Insomma luoghi di intrattenimento ludici dove però gli spazi del bingo sono allestiti in modo che ci si concentri sempre sul gioco. Assenza di finestre, luci artificiali, ampi tavoli tondi e zone per i fumatori sono pensati per rendere sempre più confortevole il gioco.
Un gioco veloce, che dura al massimo 3 minuti circa, con cartelle che costano poco, variando dai 50 centesimi ai tre euro, che spingono le persone a giocare senza accorgersi che il tempo passa. “Nonostante i prezzi contenuti delle cartelle, il ritmo molto alto delle partite può facilmente far sì che si spendano 100-200 euro in una serata, anche senza essere giocatori patologici o compulsivi”.
Tempi e spazi che lasciano poco tempo per socializzare e dove le vincite, “(…) possono andare da un centinaio di euro, nei momenti in cui gli avventori sono meno e i prezzi delle cartelle più bassi, ad alcune centinaia. Si può arrivare a qualche migliaia di euro con qualche premio e nei momenti di punta, come le sere delle vacanze di Natale, ma non è la norma”. Difficilmente giocando a bingo si diventerà ricchi.
Le vincite arrivano ancora in contanti e le cartelle sono ancora cartacee. Pagamenti con bancomat e carte di credito, uniti a cartelle digitali, rimangono per ora un miraggio dice il presidente di EGP (Associazione esercenti giochi pubblici). Ma i problemi sono anche altri. I costi di gestione delle strutture e del personale sono alti, a cui vanno aggiunti i canoni mensili per le concessioni, che negli anni hanno costretto molte sale a chiudere , così che attualmente la maggior parte di esse sono gestite da aziende che fanno parte di multinazionali.
Oltre a questo ci sono “(…) difficoltà di nuove aperture, dovute anche ai regolamenti degli enti locali, che non concedono autorizzazioni in prossimità di strutture frequentate da categorie considerate “vulnerabili alle tentazioni del gioco d’azzardo”. È il cosiddetto distanziometro: le sale da gioco non possono aprire nel raggio di cinquecento metri da scuole, chiese, oratori, impianti sportivi e strutture simili”.
Perché in fin dei conti anche nelle sale Bingo possono esserci problemi legati al gioco: “Ogni giocatore patologico trova il suo gioco: il bingo attira soprattutto i pensionati e gli anziani, che cominciano per perdere tempo e per noia, e poi iniziano a vederlo come una possibile soluzione per i loro problemi economici. Le dinamiche sono sempre le stesse, dopo una fase di gioco “normale” si passa a forme patologiche”, sostiene Tiberio Patrizi, presidente dell’associazione di volontariato No Game del Lazio.
Le associazioni di categoria per affrontare il problema del gioco patologico stanno spingendo per ottenere regole più stringenti, come avviene all’estero dove i giocatori individuati come “compulsivi” non possono entrare, ma per ora questo non è possibile. Rimane solo la possibilità di provare a consigliare un giocatore patologico.

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