In un’intervista pubblicata sul settimanale Vita, il presidente della Federazione Italiana Comunità terapeutiche (FICT) Luciano Squillaci affronta vari temi d’attualità legati alle dipendenze in Italia, sottolineando come sia urgente migliorare la capacità di emersione e di presa in carico dei consumatori con problemi di dipendenza “invisibili” da parte del sistema di cura. Anche i dati e le stime più recenti sulle dipendenze da e senza sostanze restituiscono un quadro delle dipendenze sempre più complesso e sfaccettato, dove appare chiaro la capacità limitata del sistema di cura di intercettare una parte significativa di consumatori a rischio. Afferma Squillaci: “La Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze (dati 2020) parla di oltre 136mila persone in carico ai servizi, ma fa riferimento esclusivamente alle persone prese in carico, cioè a quella parte limitata di soggetti che fanno un uso “problematico” di sostanze e che riusciamo ancora ad intercettare attraverso il sistema ufficiale dei servizi. Manca tutto un altro pezzo di fenomeno che si stima essere cinque volte superiore e che, invece, non si riesce ad intercettare con strumenti ormai vetusti ed ingessati. In Italia infatti sono 4 milioni le persone che usano sostanze illegali, e di queste almeno 500mila lo fanno in maniera strutturale. Secondo le nuove analisi pubblicate dall’Agenzia europea per la droga e da Europol, il mercato della cocaina è ampio e in espansione e c’è un mercato attualmente piccolo, ma in costante crescita, della metanfetamina nell’Ue. Il dato relativo ai sequestri, anche in Italia, ci indica quindi una diffusione di sostanze molto elevata e in trend costante di crescita; di contro assistiamo ad un calo del numero delle prese in carico di persone con problemi di dipendenza da parte dei servizi. Pertanto, i servizi pubblici e del privato accreditato riescono a prendere in carico solo un quarto delle persone che avrebbero bisogno di aiuto. E stiamo ragionando solo di dipendenza da sostanze illegali, senza evidentemente considerare tutto il resto del mondo delle dipendenze, in primis quelle cosiddette comportamentali (internet, gioco, ecc.) ma anche alcol e psicofarmaci senza prescrizione».
Altro passaggio chiave dell’intervista è la critica rivolta da Squillaci all’uso, anche in documenti del Ministero, dell’espressione “persone che usano droghe” (PUD), che a suo parere contribuisce a “normalizzare”, a far accettare come neutro l’uso di sostanze: “Ma nel momento li “denominiamo”, diamo loro un nome, li stiamo identificando e qualificando. Dare un nome alle cose, infatti, significa certificarne l’esistenza. Credo che sia un messaggio estremamente fuorviante conferire una categoria specifica alle “Persone che usano droghe”, perché, così facendo, compiamo un ulteriore e decisivo passo verso la “normalizzazione” dell’uso. E la normalizzazione è l’anticamera della cronicizzazione. Ecco perché trovo incoerente, oltre che molto pericoloso, che il Piano di azione nazionale contro le dipendenze preveda tra i propri obiettivi la creazione di un Dipartimento per la tutela della salute dei Pud, facendo scomparire la dizione dipendenza, come se il Dipartimento dovesse occuparsi solo di problemi altri, magari (e non è neanche detto) correlati all’uso di droga. E tutto questo all’interno di Piano contro le dipendenze. C’è in tutto questo una evidente incoerenza concettuale”
Infine, Squillaci reputa fondamentale aumentare gli sforzi rivolti alla riduzione della domanda di droghe, investendo fortemente sugli interventi di comunità e rafforzando la dimensione educativa: “Inseguire le sostanze è una battaglia che abbiamo già ampiamente perduto. Il contrasto dell’offerta è senza dubbio importante, ma non può prescindere da una altrettanto convinta e determinata azione per la riduzione della domanda. Ma per agire seriamente sulla domanda occorre tornare al territorio, anzi alla comunità. Occorre passare dalle Comunità alla comunità. Ridisegnare il sistema in senso circolare, con un continuo interscambio integrato tra interventi territoriali, di prossimità, prevenzione e percorsi terapeutici riabilitativi. Sviluppare gli interventi all’interno di un reale sistema integrato, pubblico e privato sociale, capace di garantire non solo la pari dignità, ma anche e soprattutto l’effettiva esigibilità del diritto di scelta del cittadino utente”.