IDENTITA’ VIRTUALI E REALI IN ADOLESCENZA

data di pubblicazione:

14 Ottobre 2019

Il confronto con le trasformazioni del proprio corpo reale rispetto alle attese ideali può essere alla base di un profondo senso di inadeguatezza. Il corpo a corpo con gli altri adolescenti può risultare molto faticoso, se si ritiene di non avere abbastanza strumenti per risultare disinvolti, simpatici e vincenti, o quanto meno presentabili al mondo. Proteggere la propria immagine dietro lo schermo di un computer, dando voce alla propria identità virtuale, può allora servire talvolta per salvaguardare comunque la possibilità di tenersi in contatto con gli altri, senza correre il rischio di metterci la faccia e di mostrare le proprie fragilità e timidezze.

La rete consente l’accesso ad una dimensione “senza corpo”, priva dello sguardo potenzialmente giudicante degli altri, che potrebbero essere abbagliati o, viceversa, disgustati dalla proprie fattezze fisiche, rischiando così di non cogliere la meraviglia che contraddistingue il vero Sé, espresso in tutta la sua autenticità solo dalle parole scritte, depositate on line.
Il dilemma su cui si concentrano genitori e specialisti riguarda pertanto il processo di mentalizzazione del sé corporeo così come la socializzazione in adolescenza e mette in forma diversi interrogativi. Le relazioni virtuali e l’identità che si sviluppa in rete sostengono l’adolescente alle prese con i compiti di sviluppo o rappresentano una scappatoia, se non addirittura un ostacolo alla necessaria sperimentazione del corpo e alla costruzione di legami di amicizia e di coppia.

In un interessante articolo disponibile on line, Matteo Lancini analizza la relazione tra il processo di sviluppo dell’identità in adolescenza e il mondo virtuale.
Lancini chiarisce che, secondo le evidenze del lavoro clinico e delle ricerche che condotte negli ultimi anni, nella fisiologia della crescita la rete possa costituire un importante mezzo per potenziare i legami e condividere le esperienze che si fanno nella vita reale.
Infatti l’amicizia che si costruisce e si mantiene in rete è per gli adolescenti navigati, autentica, a volte anche più di molte amicizie reali, stabilite con coetanei che si frequentano forzatamente ogni giorno, come i compagni di classe.
Rifugiarsi dietro al monitor restando perennemente collegati, evitando così il contatto con il mondo esterno o, viceversa, utilizzare il web per far mostra di sé, sono due modi differenti che gli adolescenti fragili narcisisticamente possono scegliere di adottare per far fronte alla vergogna.
Alcuni affrontano i loro timori assumendo condotte disinibite e spregiudicate. Mettono nella vetrina on line qualunque cosa li riguardi, anche la più intima, esponendo parti di sé e del proprio corpo, nella speranza di ricevere moltissimi “like”. Altri, invece sono bloccati dal sentimento di vergogna, perché hanno paura di essere irrimediabilmente brutti e indesiderabili. La vergogna viene indirizzata di solito e più facilmente sul corpo, che in adolescenza gode di una certa disponibilità a divenire l’oggetto su cui riversare gran parte dei propri investimenti e delle proprie insoddisfazioni.
Esprimersi e relazionarsi attraverso la propria identità virtuale offre quindi una soluzione sorprendente, poiché rende possibile il contatto senza mostrarsi, tiene nascosti gli aspetti più materiali e concreti di sé. Solo i propri pensieri e la mente acquisiscono così il diritto di cittadinanza nel mondo, solo a loro viene dato il benestare di esistere e di fare da portavoce del vero Sé.
Accanto alle forme di consumo fisiologico esistono, tuttavia, delle esagerazioni, che vanno dal totale inutilizzo della tecnologia, che può segnalare, come testimoniato dalla ricerca clinica, un profondo disagio, all’iperutilizzo, la cosiddetta “dipendenza da internet”. Su questo tema è in corso un acceso dibattito culturale e psicologico, che riguarda in particolar modo l’attribuzione del concetto stesso di dipendenza tecnologica o “internet addiction” agli adolescenti.
Sempre secondo Lancini, in generale, qualsiasi definizione diagnostica riferita all’adolescenza corre il rischio di essere pericolosamente poco rispondente ad un’organizzazione della personalità che è per sua natura non ancora costituita, ma fluida e in trasformazione.
Ragionando in termini clinici è comunque possibile analizzare il fenomeno degli iperutilizzatori, considerando non tanto il tempo che trascorrono on line, un dato ormai fuorviante in considerazione della diffusione di dispositivi portatili perennemente connessi alla rete, ma il loro funzionamento psichico, ovvero come questi ragazzi affrontano i compiti evolutivi dell’adolescenza.
Gli adolescenti che utilizzano in modo apparentemente disfunzionale la rete e che, comunque, accedono allo spazio della consultazione e psicoterapia come “dipendenti da internet” sono i “ritirati sociali” e i “sovraesposti sociali”. La seconda categoria definisce quei ragazzi che esprimono e mettono in scena la propria fragilità narcisistica in modo diametralmente opposto rispetto ai ritirati sociali, quindi non attraverso il rifiuto del contatto con gli altri, fino al ritiro del proprio corpo dalle scene scolastiche e sociali, bensì attraverso degli “agiti virtuali”, ovvero dei comportamenti che hanno le stesse caratteristiche degli agiti adolescenziali, ma che vengono esercitati nella realtà virtuale.
Dall’esperienza clinica con gli adolescenti, chiarisce Lancini, insegna che i ragazzi più a rischio di restare impigliati in un eterno presente non trascorrono nemmeno un po’ di tempo in rete. In queste situazioni il dolore connesso alla crescita è talmente forte da non consentire di aprire quel piccolo varco sul mondo offerto da internet. Se la rete, in quanto strumento che consente di rifugiarsi in uno scenario “altro”, alieno rispetto alla realtà, diventa la difesa che la mente sceglie di utilizzare, significa innanzitutto che l’adolescente sta cercando di non cedere ad un dolore che per qualità ed intensità potrebbe risultare inaccessibile ed inelaborabile per la propria organizzazione mentale.
Nel mondo virtuale si costruisce infatti una realtà simulata, fatta di “come-se”, si creano ambienti, territori visivi e mentali che sono stimolati e artefatti al di fuori della mente del soggetto, a volte tanto simili alla realtà naturale. A partire da questa dimensione, l’immaginario grandioso, onnipotente, sprezzante e vendicativo che governa la mente degli adolescenti ritirati può essere però ridimensionato e controllato dal virtuale. Anche molti videogiochi soddisfano proprio questa esigenza, poiché consentono di creare un avatar capace di esprimere parti di sé nascoste a cui magari si fanno compiere imprese mirabolanti e da supereroe. Il Sé fittizio e grandioso che trova spazio nei giochi virtuali si costruisce grazie ad un aurorale processo di simbolizzazione che rende possibile al Sé ideale di esprimersi in mondi di fantasia, creati su misura rispetto ai propri desideri, ma che restano comunque frutto di un’interrelazione con gli stimoli costruiti nel mondo della rete. La realtà virtuale, quindi, oltre a caratterizzarsi come una difesa, si configura come un mediatore tra l’onnipotenza narcisistica e la realtà concreta.
Internet quindi rappresenta lo strumento tecnologico che soddisfa l’esigenza evolutiva di socializzazione e di costruzione di una rete di relazioni significative esterne alla famiglia. Una “palestra sociale” dove collaudare non solo la propria identità, ma la capacità di farsi pensare, desiderare, di essere simpatici, di trovare spazio nella mente di qualcuno per costruire una relazione intima, fondata su reciprocità e scambio.

IDENTITA’ VIRTUALI E REALI IN ADOLESCENZA
Matteo Lancini
Psicologo e psicoterapeuta,
presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano e
dell’AGIPPsA (Associazione Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza)

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