200.000 MORTI IN MESSICO DALL'INIZIO DELLA GUERRA AI CARTELLI DELLA DROGA

data di pubblicazione:

27 Dicembre 2017

index2Appare spaventoso il bilancio degli 11 anni della guerra ai cartelli della droga messicani. La contabilità provvisoria dei morti provocati dalla più cruenta war on drugs in atto è attorno ai 200.000 morti. Oltre al tributo dei morti, ci si può domandare: questa guerra contro le organizzazioni del narcotraffico è servita a ridurne il potere? Un dettagliato articolo del quotidiano francese Libération spiega che la risposta è no, e che i narcos messicani sono, per molti aspetti, più forti di prima. Se in questi anni tutti i principali capi dei narcos, in primis El Chapo Guzman, sono stati uccisi o catturati, altri leader ne hanno preso il posto. Inoltre, la guerra non è affatto riuscita a fermare o a ridurre la principale ragione d’essere delle organizzazioni criminali: lo spaccio di sostanze. Produzione e traffico di eroina, di cocaina e di sostanze sintetiche sono anzi cresciuti e provocano sempre più morti, specialmente negli USA, i principali sponsor della guerra ai narcos. “Le organizzazioni criminali messicane mostrano segni continui di crescita e di espansione”, segnala il rapporto annuale della Drug Enforcement Administration (DEA), l’agenzia antidroga americana, pubblicato a fine ottobre. Che aggiunge: “Nessun altro gruppo e’ in grado di competere con loro”.
La produzione di eroina e’ il migliore indicatore della crescita di potenza dei narcotrafficanti messicani, a svantaggio dei colombiani. Il loro dominio territoriale in diverse regioni del Messico, spiega l’estensione senza precedenti delle coltivazioni di papavero da oppio. Nel 2015, l’Organismo internazionale di controllo degli stupefacenti, dipendente dalle Nazioni Unite, ha messo in opera il primo progetto di sorveglianza, attraverso immagini satellitari, delle coltivazioni di papavero da oppio in Messico, stimando la loro estensione in 24.800 ettari. Le autorita’ americane parlano, da parte loro, di 32.000 ettari coltivati nel 2016. “Quasi tutta l’eroina sequestrata in Usa e’ messicana”, ricorda al quotidiano Libération Melvin Patterson, portavoce della DEA. E spiega che le analisi piu’ recenti fatte sui campioni sequestrati dalle agenzie americane, fanno vedere che la parte di eroina asiatica o colombiana si e’ ridotta a meno del 5% (…) “La strategia della decapitazione dei cartelli, con gli arresti dei loro leader,“, confida Martin Gabriel Barron, dell’Istituto nazionale di scienze penali, un centro di studi che dipende dalla procura federale messicana. E spiega: “Alla fine del mandato di Calderon, nel 2012, c’erano 7 cartelli importanti e 49 sottogruppi. Cinque anno dopo, ci sono 9 cartelli e piu’ di 130 sottogruppi”, spiega nel dettaglio questo specialista del narcotraffico. Gli arresti hanno ravvivato le rivalita’ tra le diverse fazioni all’interno dei cartelli, che si sono buttati in una guerra di successione, senza pertanto indebolirsi. “Si sono frammentati, ma sono anche sempre attivi. Si sono piu’ globalizzati”, dice Martin Gabriel Barron. Prova di questa internazionalizzazione: il solo cartello di Sinaloa e’ presente in 54 Paesi e los Zetas hanno legami piu’ stretti che mai con la ‘Ndrangheta, la mafia calabrese, che importa la cocaina in Europa. Nello Stato di Taumalipas (nord-est), feudo dei Los Zetas, il capo Giulio Perrone, uno dei membri della mafia napoletana tra i piu’ ricercati in Italia, e’ stato arrestato a marzo. “Non è una coincidenza”, commenta Barron.
Questi ultimi anni, diversi ex-governatori messicani sono stati anche loro arrestati e alcuni sono attualmente sotto giudizio in Usa per la loro protezione concessa ai cartelli.”

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