L’idea dell’adolescente trasgressivo e onnipotente non è più attuale.
L’adolescente oggi non cresce per trasgressioni, piuttosto per delusioni.
Questo l’incipit di Matteo Lancini nel corso dell’incontro Dialoghi@Minotauro che si è tenuto martedì.
Proponiamo di seguito una sintesi e alcune riflessioni.
I modelli competitivi, vincenti, di bellezza e perfezione proposti dalla società spingono i nostri ragazzi ad emularli, spesso senza successo. Per questa ragione, secondo Lancini, il compito degli adulti dovrebbe essere direzionato verso un’ “educazione al fallimento“, intesa come un’educazione che volge lo sguardo alle possibili sconfitte rispetto a imprese quasi impossibili.
Gli adulti hanno il compito di aiutare i giovani a trovare l’equilibrio tra l’io ideale e l’io reale.
Un adulto autorevole è colui che sostiene e dà risposte, anche a quelle domande scomode che spesso i ragazzi ci rivolgono: A COSA SERVE LA SCUOLA?
E così Lancini entra nel discorso scuola, insegnanti e relazioni difficili.
Oggi la scuola, anche a causa del lockdown, è diventata il baluardo delle povertà educative e si è accentuato il divario tra insegnanti e studenti.
Gli insegnanti non si sentono “compresi” dagli studenti e viceversa.
I ragazzi si pongono e rivolgono, domande, semplici nei contenuti e complesse nelle risposte…come: “a cosa serve la scuola?”
Per quanto possa sembrare provocatoria e sfacciata, se ci soffermiamo a pensare, la domanda non è poi così fuori luogo.
Quanto succede fuori dalla scuola – contatti, relazioni, scambi – è molto distante nelle modalità e nei contenuti rispetto a quanto a scuola ritroviamo.
Mentre il mondo è andato avanti con l’ausilio e la centralità delle nuove tecnologie, la scuola è rimasta più o meno la stessa.
Siamo ormai immersi dalle tecnologie e dalle loro funzioni nella vita quotidiana: spesa online, ticket salta coda, ricetta dematerializzata….
Tutto viaggia attraverso smartphone, applicazioni ad un ritmo certamente diverso da quello della scuola dove ci si relaziona e si insegna utilizzando più o meno gli stessi strumenti di venti anni fa, dove le uniche innovazioni sono il registro elettronico o l’uso del web per scaricare i video di approfondimento.
Lancini chiarisce che da parte dei ragazzi non c’è alcuna volontà di denigrare l’insegnante o l’istituzione nella sua funzione.
Gli studenti chiedono perché, dal loro punto di vista, è importante avere una risposta che possa aiutarli a trovare un senso, una motivazione.
Se, da una parte, a scuola è “bandito” l’uso di internet come fonte di sapere, se con la didattica a distanza, per sincerarsi della preparazione dello studente, si arriva ad interrogarlo chiedendogli di bendarsi, se il web continua ad essere visto come il male, o semplicemente come una scorciatoia rispetto allo studio matto e disperatissimo di Giacomo Leopardi…
Dall’altra, nel mondo “fuori” tutto viaggia da remoto, con tempi e modalità molto diversi.
Vista così la domanda “a cosa serve la scuola?” appare assolutamente congrua e piena di significato.
Siamo in grado di dare una risposta?
Serve cambiare qualcosa?
Lancini parla di una scuola baluardo della ricostruzione, una scuola aperta e connessa sempre, che utilizzi il web e le prove online.
Una scuola in cui tra le priorità ci sia l’educazione digitale in cui il web sia fonte di apprendimento e assuma la centralità che merita.
Lancini aggiunge che persino nella “didattica digitale integrata” è possibile trovare il valore della relazione, purchè non si cerchi di riportare sulla piattaforma il modello della didattica in presenza, ma si trovino nuove modalità. Sono gli stessi ragazzi che, attraverso l’uso dei social, ci hanno insegnato che le relazioni a distanza possono anche assumere valori e significati profondi.
Cosa si deve fare per mettersi in relazione con un adolescente?
Occorre raggiungerlo là dove è, anche se dice cose incomprensibili o spaventose per noi adulti. Con gli adolescenti si può parlare della paura della morte, del pensiero del suicidio.
Raggiungerlo là dove è significa quindi imparare a identificarsi con lui, comprenderlo calandosi nelle sue dimensioni o comunque chiedendo e facendosi spiegare. Per riuscire in questo intento è fondamentale essere in grado di tollerarlo nella sua diversità.
Gli adulti hanno anche il compito di ricostruire una comunità educante, diversa dal modello che stiamo offrendo.
Negli anni ottanta i genitori affidavano i propri figli alla comunità educante che poi altro non era che il giardinetto, il cortile, il muretto dove si incontravano gli amici, e lo facevano senza geolocalizzatori, con la consapevolezza che sbucciarsi un ginocchio o litigare con un amico erano esperienze di crescita.
Dal momento in cui si è iniziato a pensare che il mondo fuori è pieno di insidie, che il giuoco del pallone doveva essere proibito nei cortili sotto casa, che gli schiamazzi al muretto non erano ben accolti da chi abitava nei paraggi, si è legittimato il pensiero che dentro casa si è al sicuro, fuori no.
Ma piano piano il pensiero di pericolosità si è esteso anche a quelle forme di contatto da dentro casa con il fuori: gli smarphone, i social, i videogame, sono anch’essi diventati nella percezione degli adulti dei luoghi non sicuri.
In altri termini, la società della virtualizzazione ha prima patologizzato il mondo fuori, favorendo la “reclusione” e poi ha patologizzato il mondo virtuale attraverso il quale i giovani stanno in contatto con il fuori.
La pandemia, secondo Lancini, rappresenta un’occasione formativa formidabile per genitori e insegnanti, è l’occasione per sviluppare conoscenza, spirito critico, un’occasione di confronto sulle paure e preoccupazioni che ci affliggono.
Un’occasione di confronto e di avvicinamento che parte da un vissuto comune.