SIGARETTE ELETTRONICHE E POLMONITE

data di pubblicazione:

9 Marzo 2018

sigaretta elettronicaLe sigarette elettroniche potrebbero aumentare il rischio di polmonite
L’ipotesi è che il vapore delle e-cig crei un ambiente favorevole ai batteri.
Ancora una volta sigarette elettroniche e sigarette tradizionali vengono messe a confronto. In questo caso emergono più somiglianze che differenze. Le e-cigarettes infatti favoriscono lo sviluppo di polmonite tanto quanto le sigarette tradizionali.

Tutta colpa del vapore che aiuterebbe i batteri ad attaccarsi alle cellule che rivestono le vie aeree. Lo hanno scoperto i ricercatori della Queen Mary University di Londra in una serie di esperimenti in laboratorio descritti sul European Respiratory Journal.
Si trattava di capire se l’esposizione al vapore delle sigarette elettroniche aumentasse i livelli di una molecola prodotta dalle cellule di rivestimento delle vie aeree chiamata recettore del fattore attivante delle piastrine (Pafr).

I batteri all’origine della polmonite (Streptococcus pneumoniae) sfruttano infatti i Pafr per aderire alle cellule delle vie respiratorie.

Ebbene, in laboratorio, le cellule epiteliali esposte al vapore delle sigarette elettroniche sviluppavano una quantità di Pafr tre volte superiore rispetto a quelle che non erano entrate in contatto con il vapore.

Lo stesso accadeva con i topi: gli animali esposti ai vapori producevano una maggiore quantità di Pafr rispetto agli altri.

Il terzo esperimento ha confermato i risultati degli altri due. Gli scienziati hanno reclutato 17 volontari consumatori abituali di e-cigarettes a cui è stato chiesto di fumare in laboratorio. Tutti loro sono stati sottoposti a un test di misurazione di Pafr, prima e dopo aver inalato il vapore. Ebbene, a distanza di un’ora dall’ultimo tiro i livelli di Pafr erano tre volte superiori a quelli misurati in precedenza.

«Il messaggio è che è troppo ottimistico pensare che tutti gli effetti avversi delle sigarette si riducano passando al vaping – ha dichiarato a Reuters Health Jonathan Grigg del Queen Mary University of London a capo dello studio».

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